Il giudizio su un piano urbanistico cittadino si da, alla fine, dopo eventuali discussioni e danze teoriche ideologiche (sane e benvenute), analizzando le proposte. Il Piano appunto.
Beh. Sapete che il Piano non c’è, a Genova, anche soprattutto in questi anni. E già questa è una indicazione sul metodo. Ma ne parliamo poi, che per noi ogni argomento è lungo.
Allora si potrebbe giudicare i progetti. Ma raramente si vedono, se non a cantieri aperti.
E anche questo sarebbe argomento sul metodo, ma anche di rispetto e giustizia verso i cittadini, ma anche qui rischiamo di dilungarci per un paio di pagine, elettroniche, che son infinite. Soprassediamo
Allora, non rimane che una unica possibilità per ragionare sui rivolgimenti urbanistici che stanno essendo gettati sulla città: guardare ai progetti fatti. O, al limite in via avanzata di facimento.
E bisogna prendere progetti urbanistici (non ponti o strade, infrastrutturali) di quelli che incidono sui quartieri o sulla città, come estetica, vita, funzioni, modi di vivere la porzione del pianeta che abiti. E bisogna prenderne alcuni, giudicabili, di quelli ideati, progettati, realizzati da queste ultime due giunte, che sembrano portare un atteggiamento e visione, verso la città, caratteristica e specifica.
Iniziamo prendendone uno, che sappiamo non ha creato grandi problemi (ma a noi si, e allora almeno ci sfoghiamo). E lo prendiamo perché, come dicevamo, è stato pensato, realizzato da queste due giunte e quindi è uno dei primi frutti, puliti, dell’approccio e del mondo che propongono.
E lo prendiamo come oggetto di ciarleria perchè è finito e rifinito.
Il supermercato Esselunga in Via Piave.
Per noi questo è un progetto che non porta, sostanzialmente, nulla come benessere e vivibilità alla città.
E’ stato costruito in un luogo extralusso, esteticamente gradevole, sul mare, silenzioso, bello. Che piaccia o no questa era l’identità. Da rispettare e tutelare e, al limite, cambiare solo se con implementazioni migliorative.
Con la costruzione dell’ Esselungona il luogo è diventato, per necessità, più frequentato. Con più macchine, più passanti, più rumore.
Ma questo non ha portato funzione nuove, vitali, addirittura pubbliche. Ha portato un nuovo supermercatone. Il cui unico pregio può essere avere un prodotto, un sofficino, in più un 100 metri più vicino per i residenti. Insomma, un vantaggio che non ha portato nuovi pregi al quartiere e semplicemente un supermercato in più in città.
Insomma non capiamo il ragionamento che ha portato a prendere questa decisione.
E un posto privato, se non ricordiamo male, che resta privato
E il quartiere è un po’ meno tranquillo.
Ne prendiamo un altro di progettone, finito: il supermercato Esselungone a San Benigno,
Sembra che sia lo stesso progetto del primo. Ma, per noi, è anche peggio.
In questo caso si fa un supermercatone, un esselungone, vicino a un altro supermercatone, il Cooppone.
E qui si rende evidente la mancanza di bisogno.
Si fa un ulteriore supermercatone in un quartiere che fa fatica a stare bene e che vedrà la perdita di negozi di prossimità, di quartiere, di comunità, insomma di vecchi negozi. I posti di lavoro da tradizionali, famigliari, diventeranno nuovi posti di lavoro da grande azienda transterritoriale.
Ma non solo, lo spazio della nuova Esselungona è vicino al Porto, poteva, ad esempio, contenere spazi ad uso attività portuali. E’ in una zona congestionata ed invivibile, per gli umani. Poteva diventare uno spazio di alleggerimento, un parco, una struttura chiusa con servizi pubblici ludici.
Insomma, qualcosa che sostenesse funzioni economiche o di vivibilità.
Invece è uno spazio che rimane privato con una funziona già superpresente e che occupa uno spazio prezioso per nuovi cambiamenti.
Ed è di una evidenza assoluta che è un progetto fatto in assenza di bisogni, pubblici.
Di interventi significativi ideati, progettati, realizzati dalla nuova gestione cittadina non ne prendiamo altri.
Ne prendiamo ancora uno, però, i cui contorni son ormai quasi chiariti del tutto: lo spazio che fu la Fiera del Mare. Un pezzo del nuovo WaterFront di levante.
Qui l’intervento è limpido. Da una parte si tolgono in buona parte gli spazi espositivi coperti che da circa 85.000 diventano, non si sa bene, i 20.000 del “blu” più i rimanenti del rotondo, che saranno tipo 15.000, dall’altra parte si costruisce un quartiere di lusso (epurato dalle ipotizzate residente per studenti) e si ridefinisce una sorta di porticciuolo lussuosino.
Questo progetto è più interessante perchè mostra una immagine di città più definita.
E’ un pezzo di città, che in parte diventa esclusivamente privata (gli alloggi extra lusso) e nell’altra parte viene, probabilmente, migliorata come vivibilità ma, supponiamo, che diventerà un’area, come prima, aperta solo in certi orari o su eventi.
Almeno è un progetto chiaro, coraggioso, che vuole che Genova diventi più lussuosa, desiderata dai lussuosi (ma non abbiam capito se gli appartamenti son stati acquistati solo da genovesi che vogliono connettersi ai lussuosi di tutto il mondo o anche da lussuosi di altre parti del mondo). Che pensa che le grandi e medie fiere non siano interessanti (una grande fiera ha bisogno di molte decine di migliaia di metri di spazi espositivi coperti). Che vede nella privatizzazione una occasione di futuro (cosa che noi, resistenti ai cambiamenti, vediamo male … perchè i pezzi pubblici ad uso pubblico che una città perde, di solito, le perde per quasi sempre).
Che dire? Da questo progetto, sembra che il progetto di città, più che partir dal basso (dai piani economicamente e socialmente più svantaggiati) e dalle difficoltà, urbanisticamente, vuol partir dall’alto.
Un po’ metaforicamente, come la funivia al (anzi, sopra) il Lagaccio.
Che vuol fare una cosa figa, per i turisti, per chi ha agio di pensare al tempo libero, e la fa passare sopra un quartiere che di tempo libero ne ha troppo e ha poco agio nel goderselo. E spera che mettendo un po’ di fighezza in alto questa ricada, magicamente, nel quartiere, in parte sofferente.
Che è una scommessa. Ma ci pare abbia troppo dell’azzardo della scommessa e poco della concretezza e affidabilità della pianificazione.
Che dire?
Dobbiamo ancora vedere, tanto per dirne una, sempre pensando a progetti ideati, progettati e realizzati da questa proposta di città, i 2-3 Pinqua nelle piazze del Centro Storico, il Pinqua al Cep, in via Novella (nonché giù a Pra’, quel ragazzone impenitente dell’Hennebique, l’Ex Mercato del pesce, la quadrangola di Carignano, il (speriamo di no) Palabombrini (Urgh!), la funivia con sistema dei forti ri ri ri ri ri ri ri rinnovato, lo Skymetro e tutta la sistemazione lungo il tragitto, la Casa del Soldato (?) di Sturla, il (Urgh) supermercatone a Nervi, il Parco del Polcevera e il Cerchio Rosso del povero Boeri, capitato, ahilui, a Ge, Multedo ed eventuali rigenerazione post depositi, tanto, tanto, altro e… indovinate, un Esselungone a Sestri Ponente
Però, in chiusura, lasciatelo dire, non si può giocar a indovinello con il futuro della città. Che per capire come si vuol risistemare dobbiam fare un lavoro che manco i puzzle
Cioè, non è che non ci piacciano i quiz e i “ti vedo e non ti vedo”. Ci piace far la sorpresa al nipotino scioccandolo con un regalo.
Ma qui si parla di città. E di quei 550,000 circa abitanti che han deciso, più o meno volontariamente, di rimanere. Cioè, loro ci credono in un futuro migliore. Avrebbero il diritto di discuterne, oltre che di saperlo, chiaramente.
Invece di vedere i progetti solo quando sono realizzati, o magari in via di realizzazione. Quasi come se si ci vergognasse a farli vedere prima, o quasi come se prima non ci fossero, ben definiti e ridefiniti, ma si definissero in corso d’opera.