(Soprintendenza di Belle Arti goes to Lima/Perù – part 2)
E poi succede che sei in Perù e vai a fare un giro a Cuzco, o Cusco.
E sai cosa ti aspetti, più o meno, perchè è un posto turistico, conosciuto, noto. Presente nel tuo immaginario. La città vicina a Machu Picchu, la capitale dell’impero degli Inca. E altre robe così.
Ma poi… c’è la presentazione del Cuzco nella tua testa con Cusco reale. Ed è tutta un’altra storia.
Una botta, un viaggio in un paradiso, abitato da umani, che, come si sa, portano sempre anche un po’ di quota di demoni.
I Cuschegni vivono in cielo. A minimo 3300 metri. Lassù.
E quando arrivi capisci, o almeno noi abbiamo capito, al di là se sia reale (ma noi siamo sicuri che lo sia), che il posto è caratterizzato da due cose, che sono le “firme” del luogo. Due firme che son lì da sempre, due elementi che caratterizzano il posto. E l’impressione è che, quando, e se, fra 2000 anni qualcuno andrà a fare un giro a Cusco queste firme saranno ancora lì.
Le firme sono: il cielo, così vicino, e il viso dei cuschegni.
Son due cose che son lì, al di là delle culture, delle dominazioni, delle giornate, delle crisi. Degli Stati e delle dominazioni
E poi, per noi urticante, a quel cielo e a quei visi si aggiunge un altro elemento caratterizzante, una terza “firma”, che noi sentiamo aliena, intrusa, ma così forte che è diventata profondo patrimonio locale; le architetture, le chiese, le cattedrali, fatte dagli spagnoli.
Che lavorando bene, con ferocia inaudita, che si contrapponeva ad altra ferocia che però non aveva trovato le forme del ferro e della polvere da sparo, si sono imposti anche come presenza estetica.
E così sotto quel cielo, circondate da quei visi, che oggi son ristoratori, albergatori, manutentori, qualunque cosa, e anche persone in costumi tradizionali che ti vendono la foto con l’alpaca, i cappelli di lana, e altro, con fare da chi chiede aiuto perchè ne ha bisogno ma senza mendicare, ci sono le architetture spagnole, arricchite dal gusto estetico iperbolico incaico, che torreggiano in mezzo al panorama di Cusco, circondato dalle colline, che a quell’altezza sembrano colline ma sono pezzi in più di montagna.
Cusco è una città in un altro pianeta (non di un altro pianeta) in un contesto incredibile e con un portato di storia accecante.
Ma è anche una città povera. Sofferente.
Le espressioni che abitano molti di quei visi millenari, in questo paradiso, non sono belle, oggi. Sono un insieme di determinazione e di fatica generata dalla marginalità.
La capitale dell’impero, nel Perù di oggi, è ridotta, in qualche modo, a vivere una marginalità. Pur in mezzo a ricchezze.
Ma, dicevamo, Cuzco è una sorta di paradiso. Se non altro come ubicazione. Abitare e vivere lassù non è cosa comune.
Qui ti rendi conto che, per l’umanità, non è esistito solo il “Far West” e l’esplorazione dei nuovi lidi in senso orizzontale, ma per almeno un popolo, è esistito anche il “Far Up”, alla ricerca delle città più vicine possibile al cielo. E il risultato ce lo abbiamo davanti.
Cusco, per venire ai nostri temi, non può non lasciare stupiti, entusiasmati e intimoriti da questa avventura territoriale umana e non può lasciare feriti, dalla difficoltà di parte della popolazione.
Per noi, se ci limitiamo all’essenza di quel che vogliamo dire su Cusco, non ci sono altre cose da raccontare.
“Dio è innamorato delle creazioni del tempo”, diceva il britannico ed eclettico cantore Blake.
E quindi, anche qui, le creazioni del tempo, i colori, i gusti, le abitudini potrebbero essere raccontate indefinitivamente. Ma ci fermiamo qui. Per noi son forme che abitano e fioriscono in quelle centralità che ci hanno abbagliato.
Ci soffermiamo, invece, su di un aspetto che, sapete, ci coinvolge, non solo da vicino, ma da “dentro”.
Cusco, come città, è, in grande parte “distrutta”.
Non da un altro terremoto naturale di quelli che ha subito più volte nei secoli, ma da un terremoto umano. Culturale e amministrativo.
Ci raccontano due persone, due donne, due immigrate, una spagnola e una limegna che 32 anni fa (ci dice la prima) e 40 anni fa (ci dice la seconda), quando arrivarono loro lì, nella città del cielo, c’era un solo edificio più alto di 2 piani. Si, ce n’era uno, ci dice la seconda, era di 7 piani, e aveva l’ascensore, e questa era una grandissima curiosità.
32 anni fa, quindi, Cusco era una città di 1-2 piani.
Forse perchè rispettava la cultura architettonica locale, o forse perchè rispettava i terremoti, o forse perchè rispettava i limiti e non era educato cercare di “andare ancora più su” con i piani quando già abiti a due minuti dal cielo.
Quel che rispettavano non si sa. Quel che è certo è che qualcosa rispettavano, e verso qualunque cosa sia stato quel rispetto è caduto. E oggi Cusco è una città a due livelli.
C’è il livello della “città di 1-2 piani” che in buona parte esiste ancora, ma è sormontato da piani e piani che si sono posati casualmente, a cubetti, rettangoli, angoli sui due piani precedenti. O affiancata e sostituita da veri e propri nuovi edifici a tanti piani.
Cubetti e parallelepipedi perchè, in Perù, in quel che abbiamo visto, nelle città si fatica a trovare qualcosa, di recentemente costruito, che si sposti o arricchisca questa forma.
Spesso (e spesso significa spesso, non raramente o talvolta, ma soprattutto) si possono intravedere, o vedere, i “due piani originari” con sopra quel che è successo e sta succedendo.
Sia ben chiaro, questo, dell’esplosione disordinata edilizia, non è un fenomeno di Cusco, è un fenomeno mondiale, che ha due matrici: la sovrappopolazione derivante dal “benessere post industriale” con una conseguente richiesta di alloggi, e il passaggio di questa richiesta attraverso sistemi corruttibili e incapaci di governare questa fase dell’umanità.
La risposta edilizia al bisogno di alloggi planetario è passata, quindi, spesso, come direbbe il fondatore del Partito Radicale, dalla gestione di amministratori e imprenditori “buoni a nulla e capaci di tutto”.
E’ un fenomeno mondiale, che in Italia ha avuto il ”boom” edilizio dopo il “boom” demografico nel dopoguerra e nel mondo, come una “hola” inarrestabile, ha attraversato in pochi decenni il pianeta.
E’ un fenomeno mondiale. Ma per noi è, ingenuamente triste, vedere che è toccato anche a una delle città nel cielo.
Cusco è quello che è successo alla “Porziuncola” ma a livello di una città. Mica piccola. Tipo Genova, come abitanti.
Cusco, bene da conservare, è stato sotterrato da un’altra città (come la “chiesa” di San Francesco oggi è sormontata e rinchiusa da una gigantesca chiesona) che è stata generate dalla prima e che serve alla prima come servizio turistico, logistico ma che, nel farlo, cancella l’esistenza formale della “Cusco a 1-2 piani”
La forza di Cusco, nel suo cielo e nella sua gente, c’è ancora. Almeno a noi turisti, fini o meno che siamo, pare così. Ma sappiamo, conoscendo la storia, che qualcosa già non c’è più. E che quello che si sta formando e si è formato sembra molto più ad un’onda anomala, di mattoni e cemento, di necessità male interpretate che a soluzioni di nuovi modi per abitare il mondo.
Anche Cusco come tutto il mondo degli uomini, oggi più che mai, sta abitando un territorio in cambiamento. E le città cambiano più di tutto.
Ha ragione Sterling,uno dei due massimi poeti Cyberpunk del futuro prossimo, che dice “Il futuro è già arrivato, ma non è stato distribuito in parti uguali”.
E il futuro, nel mondo, c’è. Le soluzioni estetiche, funzionali, ecologiche, formali, di nuovi utilizzi di materiali, sociali, culturali di concezioni di città ci sono Ma sembrano relegate in rari e felici progetti e in ragionamenti di sognatori urbanistici ( cui, secondo noi, bisogna dare più forza tifando e interessandosi)
Cusco non ti assale, quando arrivi, ma ti tiene sospeso, lassù. Che quando atterri a Cusco, con l’aereo, continui ad attendere di toccare terra anche dopo l’atterraggio, perchè rimani 3.000 metri più in su del mare, anche quando l’aereo è fermo e tu sei sulla pista.
E’ come fare una pausa in un viaggio aereo con sosta sulle nuvole.
Forse non sappiamo goderci solo le cose belle. Ma come si fa a non essere conquistati dalla due Cusco. Quella che hai davanti e quella “di 1-2 piani”. Che entrambe ti conquistano il cuore e la fantasia. Ed è come una doppia corsa su due montagne russe.
E come si fa a non essere abbacinati dalla bellezza e dalla forza e colpiti dalla fatica e dal passato?
Forse non siamo, capaci di goderci solo le cose belle. Ma che dobbiamo fare?
Tutte queste città ci ricordano che siamo in un momento planetario in cui una delle sfide è capire come vivere e abitare il mondo.
E l’equipaggio che la abita, che è la generazione in vita, si trova in questa posizione e con queste sfide.
E lo sanno anche a Cusco, che come stanno oggi, anche in mezzo a quella potenza e bellezza, non è così comodo. E lo sappiamo anche noi, a Genova, anzi, lo sapete anche Voi, a Genova, che di tentativi, goffi, quasi disperati e casuali, di trovare una città del futuro ne stiamo facendo molti. E siamo tutti a bordo di città che cambiano, e hanno l’esigenza di cambiare.
Mettendo insieme le conoscenze e, di queste, globalizzandone solo il giusto, e non tutto, si potrà trovare una quadratura del cerchio.
Cerchio che in questo caso è il pianeta.