E questo è un post conclusivo, da fine anno.
(sul post sulla pagina FB tutte le foto)
O meglio, è un post che vorrebbe essere con postura conclusiva, di chi vuol sembrare che concluda qualcosa, anche se non lo fa, e dare inizio al rinnovo.
Ma, spoiler, non concluderemo un bel nulla
Che il nostro compito è ciurlare nel manico. Ciurlare e ciurlare su Genova finchè non uscirà qualcosa di nuovo, e di rinnovato, sì, un nuovo corso
E’ un post di Buon Anno
Il quarto!
E siamo ancora qui, e sempre di più. Stanchi e reattivi come Vasco Rossi, che continuiamo a rilanciare.
E Vi facciamo gli auguri, gli auspici, le esortazioni di Buon Anno con un estratto di immagini, una sequela. Con la regola che dobbiamo averle scattate noi nelle ultime due, tre settimane (ovviamente con eccezioni).
Immagini di quelle che non son finite nei post, ma son finite nelle nostre proposte di post, poi accantonate.
Tutte immagini che mostrano una delle ragioni fondanti della nostra pagina. Immagini che contengono bello insieme al brutto. O bello percepito da noi genovesi e che poi magari è brutto, per gli altri.
Comunque immagini che, a nostro avviso, abbiano, tutte, un po’ di quella struggente melanconia e un po’ di bellezza.
La firma della Genova di oggi
Tutte immagini che contengono quella roba della storia di Genova in cui si è infognata.
E la struggente bellezza di provarci, e riprovarci, e tentarci, magari pensando di stare facendo cose sontuose o non volendo vedere che fai cose fallimentari. O la bellezza dei bei tentativi in contesti che non possono accogliere cose belle, o la bellezza dei tentativi, solo perché ancora continui tentativi.
Panorami struggenti, melanconici, unici, frutto di strati, e strati di storia e vita e tentativi di grandezza.
Che contengono bellezza, o talvolta la bellezza sono la melanconia e il struggimento stessi, il cogliere un tentativo, anche maldestro, ma un tentativo di bellezza, o di grandezza.
E allora nelle immagini che postiamo (nella pagina FB) c’è Piazza De Ferrari con le luci che sembrano quella roba che usano ora i nostri figli per cancellare gli errori dalla pagina. Luci così dense e fitte da rendere invisibili i Palazzi dietro, quasi che, per chi pensa oggi una città nuova, nuovissima, capitale di qualunque cosa, sia troppo difficile mettere il nuovo sposandolo con l’enorme storia che abbiamo. Meglio cancellare quella e coprirla di luci.
E le immagini del Lagaccio, di alberi di Natale che solo per il fatto di averli pensati lì c’è da darli un bacino, e palazzi sontuosi, altruistici che han fatto la storia di Genova e del Lagaccio. E il torrente Bisagno, dove è sorta la prima Genova prima della Genova di Sarzano. Con le luci delle feste che colano giù, buttate lì, su quel che resta di un ponte lunghissimo, a decine di arcate, e che ora è lì, in attesa che gli passi pure un treno sulla testa. E l’abbellimento luminoso sa, più che di omaggio, turlupinamento del morente.
E quella luce in Corso Firenze, che solo per essere luce del sole che danza tra i Palazzi, fa vedere quanto Castelletto è bella. E quanto un bel Palazzo può sembrare una visione che neanche Aguirre, furore malato degli dei, sapeva immaginare in mezzo all’Amazzonia.
E portoni visti da dentro
E le sedie di plastica, dure ed eguali, in San Lorenzo, in mezzo a sgusci e sviolinate di marmi e colori che oggi non te li puoi più permettere
E le estetiche oniriche delle “lavatrici”, e il Porto Antico, e nuovo che è posato davanti al centro Storico, alla Città Vecchia.
E i nuovi spazi sportivi delle, ormai vecchie, fasce di rispetto. Che se fossero veramente di rispetto non avrebbero bisogno di tutti quei cancelli. Anche se, lo sappiamo, per Pra’ è un cambio inimmaginabile verso il bello. Ma noi soffriamo sempre a veder consegnati spazi nuovi, per risarcire di aver tolto la spiaggia, il mare e l’orizzonte, per poi restituirli, ma solo una parte, ma solo un po’, perché lo spazio pubblico per reggere l’essere pubblico deve essere in parte a pagamento. Come diceva il poeta, colpevolmente difensore di nostrane dittature: “Dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri”
E, nelle immagini, ancora…la metropolitana di Genova
E marciapiedi bianchi di luce sopra Principe
E il pranzo della Comunità di San Benedetto al Porto
Ecco, San benedetto al Porto. Che dovremmo iniziare da loro a capire come ripartire quando si è arrivati male, iniziando a rispettare tutte, ma proprio tutte, le nostre magagne. Invece che cercare record dove non ci sono.
Che quelli si, Don Gallo e San Benedetto, possono essere, per noi, un “Modello Genova” adatto a gestioni dignitose della città e rinascite
Che “Su la testa” non vuol dire, talvolta, puntare in alto. Ma ricominciare a guardare in alto.
Che i panorami che qui Vi mostriamo son struggenti, e contengono bellezza. Ma son melanconici, e forse un po’ disperati, perché (capite quello che Vi vogliamo dire) non c’è più una città che li guarda
Che va bene gridare alla Genova che rinasce. Alla Genova turistica. Ma se non guardi dove sei, come sei, non puoi sperare in una rinascita vera. Ed è uno dei compiti di questa pagina. Guardare il brutto, e distinguere il Brutto dal bello, per capire da cosa ripartire. O, almeno, cosa tenere.
Che Genova è esanime. Che chi perde il 30% del proprio sangue, 270.000 abitanti, non può che essere esanime. Deve ricominciare, ma prima curarsi e rimettersi in forze. Anche sognando alla grande. Ma, insieme, “rammendando”, e non solo le periferie. Che Genova, ormai, dal centro a Ponente, e nelle Valli, contiene tante periferie. Forse Genova è una periferia.
Quindi venite pure turisti, venite. Ma sappiate guardare tutto.
Non è da tutti visitare un paradiso di struggenza. Non fatevi abbagliare solo dalle finezze d’arte o da chi vuol venderVi questa città come se fosse solo grande.
Che, per Genova, e per quello che potreste cogliere, “bella” e riduttivo. Quasi banale.
Scendete dalle gigantesche navi da crociera, dalle future funivie, dai circuiti dell’arte, scendete giù, guardate (anzi “vedete”, perché “guardare” è troppo compromettente, e pericoloso, su Genova. Meglio “vedere” chè è più distaccato, e sicuro)
Guardate questa città, che sta attendendo un modo di rinascere. Che è una città europea, ricca di fascino e melanconia. Anzi, Genova, in questo senso, è un distillato di quella melanconia europea. Tipica, diremmo, delle ex capitali. Ma, qui, abbiamo una melanconia che non è occidentale, e neanche della Praga e delle ex capitali orientali.
Siamo un distillato di melanconia, passato, storia e nostalgia europea
Che siamo città vecchia, non ancora antica, che “antica” è una dimensione che ha risolto il vecchio, ed è in un’altra dimensione, nuova.
Genova non è antica. Viviamo nel passato, nei muri della nostra storia. E “vecchio”, per una città, se non è un vecchio vivo e rinnovato, è un peso altissimo
E Genova ha un portato così alto di storia, di rimestamenti, di accumuli di orgoglio ingurgitato, di firme nelle geografie mondiali, dall’Argentina, al Medio Oriente, a pezzi di Europa, che, a furia di viverci dentro, a questo portato, a questa storia intensa, che ci imprime le ossa, gli sguardi, nascerà un qualcosa di futuro.
E non nascerà dai container, non dalla logistica, non dalle comunicazioni o autostrade, o aeroporto. Che quelli, una volta che trasportano merci possono anche bastarsi. Ma rinascerà da qualche idea, da qualche pratica, che nascerà da quella storia. Consapevole o no che ne sia. E poco importa se saranno i nuovi asiatici che abitano Sestri Ponente a trovare il bandolo della matassa, o il 5%, abbondante dei residenti in città che sono i sudamericani genovesi, o dalla parte di Africa che ci abita. Ma nascerà, anche, se non altro, dall’alfabeto invisibile, dalla grammatica e dai contenuti incisi nell’urbanistica, nelle pietre, nella storia scritta in città e in tutti i libri del mondo che raccontano Genova.
Troveremo un trend. Che i genovesi hanno sempre avuto il fiuto per i trend, quelli importanti, quelli che producono ricchezza, quella vera. Se no non scoprivamo l’america, che è stato un vero affare europeo (non per i “veri” americani), o non diventavamo la logistica delle crociate, o non facevamo l’accordo con Carlo V.
Buon 2024 allora!
W la melanconia, di cui siamo intrisi! Almeno noi, quando pensiamo a Genova.
W chi non pensa che la storia di Genova sia da buttare in cambio di un 7 miliardi di euro per realizzare opere, anche a caso, e tendenzialmente in cemento, e acciaio, e studiate a tavolino, ma solo a tavolino!
W i nuovi genovesi, o meglio i nuovi abitanti di Genova, che poi non sono genovesi, ma da noi possono prendere spunto per regalarci qualcosa di nuovo!
W il futuro e la nuova Genova che verrà che, speriamo, questa volta non si meriti un appellativo che è anche un peccato ma, magari, un aggettivo più simpatico, e vitale!
Noi, lo promettiamo, continueremo a rimestare nel manico!
Finchè non si vedrà qualcosa da celebrare, e allora diventeremo lirici e cantori della nuova Genova. Per ora siamo lirici degli sbarluccichii della Genova che c’è! Sbarluccichii di futuro nella città di oggi o tenativi di bellezza, o estetiche nostre che ci piacciono, spesso melanconiche e struggenti.
Che appaiono dietro un curva di un vicolo, tra un muro sbrecciato, uno skyline di Coppedè, e un Hennebique che ancora incombe, grosso come un passato da digerire!
Buon anno!