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Quel piazzale…

Tutti i genovesi…
Anzi no, non tutti.
E non riusciamo a capire quanti, perché confondiamo le nostre forti speranze con quelle ipotetiche di tutti, come i bambini nei momenti di fortissime emozioni.

Facciamo così: sicuramente noi, e una parte di genovesi che incontriamo e conosciamo sperano che, un giorno, a Genova succeda qualcosa. Di bello. Che, quasi per magia, si senta spingere sotto i nostri piedi, sotto l’asfalto, un qualcosa che vuole uscire. E questa cosa è una nuova città. Più vivibile, con più senso gioioso, con caratteristiche che rendano la sua abitabilità dignitosa.
Attendiamo una sorpresa. Perché Genova è una città grande, è attaccata a un Porto smisurato, ha una grande storia. Qualcosa dovrà accadere.
E ci appelliamo alla speranza perché quello che si vede oggi è una città quasi senza forze. Senza segnali di un cambiamento o un rilancio di vitalità

E così, ogni tanto, quando nasce un pezzo nuovo di città speriamo che sia l’inizio della nuova città. Anche se per ora sono fenomeni che, in assenza di un piano consapevole complessivo, risultano isolati e guidati dalle grandi pressioni della storia.

Il Mercato di Corso Sardegna.
Ci sarebbero, anzi ci sono, tantissime cose da dire. Ci concentriamo su poche.

Il nuovo Mercato avrà sua nascita definitiva verso aprile, quando apriranno tutti i suoi spazi commerciali. Ad oggi è aperto il piazzale e gli spazi pubblici e la Coop dentro.

Quel piazzale, però, quello spazio aperto, piano, fruibile, di circa 5000 mq è la vera novità per il quartiere.

San Fruttuoso e Marassi, insieme, fanno circa 75.000 persone. Ammassate, in un quartiere complessivamente vivo, ricco di umanità abbastanza benmessa, con diverse situazioni buone (es. il complesso socio urbanistico di P.zza Martinez, Villa Imperiale e la comunità d’intorno, le pendici del Santuario della “Madonna del Monte”, la piana e il polo di Piazza Galileo Ferraris, la sontuosità di Corso Sardegna, una certa città/campagna delle parti di confine con le colline, quelle da Via Gaulli ai rebighi di Quezzi alta), diverse di ammassamenti con difficile vivibilità (es. il complesso palazzifero di Via Donaver, l’accatastamento metafisico da Via Stefanina Moro, l’esplosione di costruzioni sui torrenti di Quezzi) e tantissimo d’altro.

E quel piazzale, per una buona parte di questo importante pezzo di città è la vera novità.
E’ un pezzo di città che porta, in quel quartiere, parametri nuovi. Che non hanno niente a che fare con la benedetta e maledetta vitalità del passato Mercato ortofrutticolo, giorno e notte, con gli ingorghi nelle stradine limitrofe, con l’assenza di spazi liberi e ampi.
Come in tutta Genova piazze, piazzette, piazzettine e muretti dove incontrarsi e crescere ce ne sono. Ma un muretto, o una panchina, in una piazza aperta, così aperta, no. O almeno non solo.
Infatti questo piazzale è l’alternativa moderna, un contraltare sociale ed urbano del complesso, vicino, di P.zza Martinez con il quale potrebbe instaurarsi un piacevole andirivieni.

Ci son alcune differenza fondamentali. P.zza Martinez è pubblica, aperta, inquinata, con strutture e spazi che la fanno essere un pezzo di città, il baretto, l’edicola e la giostra. Gli spazi commerciali sono i negozi intorno. Lo spiazzo del Mercato di Corso Sardegna è chiudibile, e la notte chiuderà, non vede macchine passare dentro, ospita ed è connaturato, a grandi negozi e attività.

Ma vedete, ci stiamo distraendo, troppe le cose da dire.
Sta di fatto che quello che ci ha colpito è il nuovo piazzale.
Adesso frequentato da famiglie, anziani. Che entrano, usano timidamente le panchine, prendono il sole, chiacchierano in un posto che ha il silenzio surreale di un gigantesco posto abbandonato e disabitato, con tutti quegli spazi ancora da aprire. Ma in realtà è il contrario perché non è abbandonato ma sta per essere popolato, non è disabitato in quanto lasciato ma in quanto ancora da vivacizzarsi.
L’impressione, quindi, per noi, in questi giorni, è di una grande struttura, nuova, apparsa dal passato e dal futuro. Estranea, perché vuota, ma famigliare perché lì da sempre. Una novità, un pezzo di mondo, però sotto casa tua, che devi ancora capire come prendere.
Entusiasmante. Perché cambia i parametri di un quartiere. Per quanto può.
Fateci un giro, prima che aprano i negozi, è una situazione da sentire, una primizia, che poi mai più tornerà così.

…Ci sono troppe cose da dire.

Sappiamo che mentre il piazzale è la novità che porta solo bene al quartiere, gli spazi commerciali, troppo potenzialmente preziosi per essere abitati da parte della ricchissima rete di negozi locali (che è uno dei pregi di San Fruttuoso Marassi), rischiano di creare una “nazione commerciale straniera” e in parte nemica. Sappiamo che i Centri Commerciali, nati nell’ambito dei “non luoghi” oggi sono, in Italia, uno dei luoghi più proposti e desiderati.
Sappiamo che il recupero della parte di Mercato che va oltre il Piazzale ha indubbi pregi e crea anche un’area coperta piena di usi possibili.
Sappiamo anche che se si fossero concesso, anche solo 500mq coperti, chiusi, ad uso libero, gratuito, mantenuto (tipo le spiagge libere francesi) per gruppi e associazioni, questo avrebbe affiancato una parte sociale al tutto, sarebbe stato un moltiplicatore di attività di comunità.
Sappiamo tante cose e anche che questo spazio avrà un uso massiccio e dichiaratamente gradito dalla maggioranza.

Anche questo spazio qui, quindi, con i suoi pregi e difetti, ci lascia quella sensazione di attesa di vedere una città nuova che nasce. E che, contro tutti i parametri demografici, economici, sociali che la città mostra, confidiamo, e sappiamo, che un giorno nascerà.

E poi questo nuovo progetto ha avuto anche un buon esito. Dopo che nelle varie ipotesi son sfilati nei decenni idee di parcheggi nel sottosuolo esondabile, un 100 (ci ricordiamo una cifra simile) di appartamenti in un paio di palazzoni e altre visioni caciarose e poco pensate.

Vediamo che sarà.
Anche questo spazio si aggiunge alla serie di spazi nuovi, pensati qua e là, rincorrendo esigenze del momento, a volte bene e volte male.

Rimaniamo, come città, frastornati e in attesa. Proprio mentre stanno piovendo molte centinaia di milioni di euro per progettazioni cittadine, ci pare oltre il miliardo, che, se fossero azzeccate, avrebbero una grande occasione di dare un impulso a tutti noi.

Difficile descrivere il vissuto dei genovesi di oggi.
C’è anche quell’elemento che può influenzarci: che chi non ha mai fatto grandi cose ha, se tutto va bene, quella spinta a voler perseguire, realizzare e vivere un desiderio, una cosa grandissima per sé, un miraggio, un eden terreno da raggiungere.
E chi, invece, come Genova, ha già fatto grandissime cose, ma così grandi che tutto il mondo le ha riconosciute, può aver l’atteggiamento interiore difettoso che “il suo lo ha già fatto”, che quella roba del successo, dell’eden terreno, la abbiamo già sperimentata nel passato. E così, a noi, ci può soddisfare anche solo l’immaginario, che fa già parte del nostro bagaglio di offerte identitarie.
Questo può, alle volte, frenare.
Può anche dare un certo imbarazzo il confrontarsi con un passato potente e sontuoso che nessuno ci ha tolto se non noi stessi.

Non vorremmo far la figura dei superficiali, e quindi lo diciamo ancora: ci sarebbero tante cose da dire sul Mercato di Corso Sardegna.
Ma a noi quel piazzale ci dà vertigine. Perché si capisce che sta cambiando i parametri della percezione del quartiere.
E, nel complesso, la rigenerazione del posto non è tanto male.
Peccato per la mancanza di quei 500 mq ad uso sociale, civico e associativo.
Per il resto, e per il grande raduno dei grandi animali commerciali, cosa dire?
Abbiamo tante perplessità ma si sa che se facessimo un questionario di gradimento questo sarebbe altissimo.
Alla storia non puoi dire di no. Se non altro mentre è sotto entusiasmo. Al limite lo puoi dire con calma.

Il nostro giudizio. Non può che essere almeno tendente al buono. Vedendo tutti i ragazzini, gli adulti e molto adulti che ci stanno mettendo il naso godendoselo

E scusateci se abbiamo scritto anche più del solito ma, parafrasando un detto: “Scusa se ti scrivo lungamente ma ho le idee poco chiare” (nell’originale “ma ho poco tempo”)