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La Gavoglio, una storia, urbanistica, genovese

La Gavoglio, una storia, urbanistica, genovese

Domani, 28 dicembre, 2022, c’è una ennesima inaugurazione della “fetta” del Parco Urbano della Gavoglio.
A Genova, al Lagaccio. Dietro Stazione Principe, dietro Villa/Palazzo del Principe, dietro il centro storico… “lì dietro” (che è già una identità del quartiere)E ne siamo lieti
Perché ci sono delle Valli dove il punto più in vista, e il riferimento, è la cima di una collina, di un monte, il cucuzzolo più esposto, spesso con un monastero, o una chiesucola, come marcatore, sopra.

Ma ci sono delle altre Valli, ingraiate in diversa maniera, in cui il punto centrale, più in vista, il riferimento, è il fondo.
E al Lagaccio tutte le case, possiamo dire così, per brevità, si affacciano sulla Valle, e una grandissima parte di loro, sulla Gavoglio. Che è, quindi, uno dei centri del quartiere Lagaccio. Uno dei più schiacciati e inerpicati della città. A un passo da Stazione Principe, ma che diciamo! Non a un passo, attaccato alla stazione Principe! Ma così lontano, per altri versi, che potrebbe essere in un’altra dimensione, come quei fantasmi che convivono, invisibili che non te ne accorgi se non per qualche prurito o tiratura di lenzuoli, la notte.

E, scusateci, ma la Gavoglio è paradigmatica di una serie di cose genovesi. E soprattutto de La Valle del Lagaccio
E, tutto quel che diciamo di seguito potrete applicarlo a gran parti della città, e di quell’altra città attaccata che è il Porto.

E l’apertura di un pezzo della Gavoglio, a Parco urbano, a cosa, quindi, che non ha a che fare con le urgenze necessarie della vita, ma a qualcosa di più ulteriore, come svago e socialità, è un cambio di paradigma, appunto (usiamo due volte “paradigma” ma promettiamo di non usare “resilienza”, mai).

La “Valle del Lagaccio” aveva, da un certo punto in poi, la vocazione, anzi, il destino (perché la vocazione diventa, o è, atto volontario o involontario ma verso belle direzioni, mentre il destino, bello o brutto che sia, te lo ritrovi addosso) di luogo di servitù. Esterno alla città.
E allora un altro, grande, esterno alla città, il Doria, che fece Villa/Palazzo del Principe, provocò che la Valle, in qualche modo, servisse la villa con le proprie acque, e poi qualcuno, altro/a benefattore, decise che ci si metteva un grande palazzone al centro (oltre a farne altri uguali anche a San Fruttuoso e San Teodoro) per accogliere i più bisognosi, inaugurando la servitù per abitazioni popolari, e popolane. Vocazione che si rilanciò negli anni del boom demografico e degli spostamenti dal Sud al Nord Italia con la costruzione di quasi tutto quel che c’è intorno alla Caserma Gavoglio.
Poi, di nuovo, serviva una caserma, e un posto dove costruire proiettili, e la Valle del Lagaccio sembrò il luogo perfetto. Fuori dalla città, popolano. Orograficamente sfortunato per vita di quartiere.

Poi, cristallizzate queste vocazioni, e gli aggiornamenti urbanistici, si fermò tutto.
Con lo spopolamento, con la dismissione, progressiva e quasi totale della Gavoglio e di altre strutture infrastrutturali, lasciando il quartiere come svuotato delle attività con tutti gli scarti, mastodontici, mollati lì, per fare prima come quando devi andar via di fretta e non ti occupi di mettere a posto tutto

Da quel momento sono iniziate, più volte, varie storie. Tentativi di ripensare il tutto.
Di solito per spunto di cittadini, o reti di cittadini
Ne prendiamo una, di quelle storie, tra le tante. L’ultima, quella che, probabilmente per una concatenazioni di fortune, e valori, ha smosso, più significativamente del solito, l’abbandono.
Quella che iniziò nel 2008, che vide tutte le realtà del quartiere, e molti cittadini, muoversi per chiedere una riqualificazione. In generale, e per la Gavoglio.
In questo gruppo  su FaceBook, che fu il primo promotore di questa recente storia, insieme a tantissimi altri, potete trovare, dal 2008 fino al 2017, buon parte delle cronache: “PROGETTARE LA CITTA’ – Genova”

E allora successe, da quel che vedemmo (perché ci interessò e andammo a ficcare il naso), da quel che ci raccontano, da quel che capiamo, che al Lagaccio ci fu uno dei movimenti di partecipazione (si, permetteteci di usare, oltre a “paradigmatico” anche “partecipazione”, ma promettiamo, comunque, di non usare “resilienza”) più estesi, grossi, coinvolgenti quantitativamente della città degli ultimi due decenni, almeno.
Tutte le associazioni del territorio, con centinaia di cittadini promossero la riqualificazione della Gavoglio. E durante una giunta (la quart’ultima) scrissero anche 450 lettere di osservazione sul Piano Urbanistico Comunale che faceva proposte birichine, e in un’altra giunta continuarono ad insistere e promuovere coinvolgimento e attenzione, e proposte. E poi, in quest’altra giunta (la terzultima) entrò in campo (meglio tardi che mai) il Comune e promosse un percorso di partecipazione ufficiale.

E tutti insieme, così, iniziarono a litigare, ma litigare così bene, e così maestosamente, come richiedeva la mole del mastodonte Gavoglio, con un’unica idea in testa (vivibilità nel quartiere) e parlando così tanto, e così pubblicamente, che si iniziò a disegnare un progetto comune.
E quando un progetto diventa comune, e nella testa di tutti, possono succedere miracoli.
E, così, la terz’ultima giunta riuscì anche, grazie al progetto condiviso, e poi scritto, a prendere la ex caserma e a vincolarla, se non altro moralmente, a quel progettone e a trovarne anche i finanziamenti per un quinto di essa, per quel quinto chiamato Parco urbano.

E il progettone, condiviso, che entrò, o meglio uscì, dalle menti e dai cuori dei residenti, degli imprenditori, delle istituzioni coinvolte, divenne una vela. E una vela, ci dice quello di noi appassionato di queste cose ventose, se la apri non la puoi più tenere, parte, spinge, tira.

E partì.
Ovviamente, lentamente, tenendo conto delle bonacce e dell’eterno caligo che ottunde, ed abita, quasi sempre, la capacità rigenerativa, urbanistica, cittadina.

E, allora, la penultima giunta, e anche l’ultima (che è in una continuità amministrativa, sia nella lentezza che nella dedizione) ha speso i soldi trovati prima, vergato il progetto esecutivo, e finito il pezzetto dell’ex caserma. E eccolo qui.

La Gavoglio è grossa.
E così ecco, davanti a tutti, un grosso spazio per giocare, e per passeggiare, e per passare, e tantissimi ripiani per sedersi, e anche uno spazio per fare degli spettacoli. Grosso.
Che non lo puoi non vedere.
E’ nello spazio al centro del quartiere. Lì sotto le finestre di tutti. Lì in mezzo.

La palla passa al quartiere. E alla quotidianità. Ai genovesi e a chi abita Genova, alle sonnacchiose e sospettose etnie cittadine e a quelle vitali e colorate ospiti, ai maestri della scuola lì sopra e alle associazioni che abitano il piazzalone lì sotto.
E, ovviamente, alle Istituzioni, che possono essenzialmente, fare due cose adesso: o sostenere (non fiori ma opere di bene) o dimenticare, di nuovo.

E poi questa landa a vocazione “gioco” e “sorrisi” è anche colorata. Che qualche progettista di passaggio (probabilmente d’oltralpe, o partenopeo, o romagnolo, che se era genovese li faceva beigetti o grigietti) ha fatto anche i fondi dei campi da gioco colorati. Tantissimo

E allora il fondo del campetto da basket, o simili, è azzurro, ma di quell’azzurro forte, artificiale, da piscina, come quella piscina che tutti gli abitanti del Lagaccio chiedono, dai 3 agli 85 anni. Che invece di metterti a palleggiare ti vien voglia di stenderti per terra e far finta di nuotare, per sfogarti, finalmente. E altri colori.

Si, lo sappiamo, non siam matti: metterci 6 anni a fare un pezzo della Gavoglio, con altri 4 ancora da definire, e finanziare, rischia di tendere alla marginalità, le altezze da percorrere per molti di quelli che vogliono “far un salto” nel nuovo parco son da Dolomiti. Inoltre i nuovi progetti, oltre al pezzettino della Gavoglio, sono una funivia volante, per vedere tutto dall’alto, prima di riprendere il traghetto, e una isola ecologica. E son tutti rischi

Ma tutti questi spazi, puliti, belli, sfacciati, messi lì di fronte a tutta la valle sono una sfida. E rischiano di poter vincere.

E nel percorso di partecipazione, meravigliosamente e gigantescamente litigato e coeso, e in questi spazi, sfacciati e di fronte a tutti, c’è una cosa poco genovese (intendendo “genovese” quella cultura che da un cinquantennio ci ha resi più inerti), ma una sfida. Quella partecipazione che mise in piazza il progetto e, per risulta, quegli spazi messi in piazza adesso, nel quartiere.
E, siccome gli spazi, le aule, o i grandi parchi, i grandi spazi aperti al centro di uno dei quartieri più densamente popolati della città, son pedagogie dell’abitare, vediamo che succede.
Che uno spazio nuovo genera comportamenti nuovi. O fa uscire quelli che erano lì, quelle voglie “di due palleggi” in un campo azzurro, quelle “voglie di due chiacchiere su una panchina in uno spazio enorme”, “quella voglia di due passi sotto casa” che erano affacciati alle finestre del Lagaccio, dietro gli occhi degli abitanti, ma non sapevano dove uscire, e allora rimanevano lì, facendo uscire altri, più dimessi, desideri.

Ne scriveremo ancora, perché dove succede qualcosa di vitale, urbanisticamente e socialmente, noi diventiamo attenti, speranzosi, col respiro affannato, di attesa come l’amante di fronte a una nuova promessa.

E allora “li dietro” Stazione Principe, dietro Villa del Principe, dietro il centro Storico, adesso, si sappia, ci sono anche dei campi colorati di blu, perché è bello, un anfiteatro che sembra pensato per un’altra regione, degli spazi.
Sta diventando un “lì dietro” dove vien voglia di stare di più.
Ma è una sfida

Vediamo cosa succede
Una sfida che si giocherà sul numero di palleggi fatti nei campetti, sulla densità e intensità delle chiacchiere fatte sulle sedute, sul numero di passeggiate.

Due secoli di servitù contro un grosso parco voluto da tutti: palla al centro
Anzi, Gavoglio al centro.
Domani il fischio d’inizio.

(in foto uno scorcio dei nuovi spazi, sotto lo sguardo dei palazzoni)