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Ci dispiaceva far passare anche il 5 gennaio senza “sentirci”.
Ma ognuno di noi ciancolava e rimandava al minuto dopo, come si fa spesso per le cose piacevoli, ma non urgenti, che però vuoi aver tempo e testa di farle bene, e allora non ti senti mai adatto, e rimandi

Rompo gli indugi io, che in questo gruppo le figure femminili son le più decise.

E poi, dopo, forse anche oggi, dovevamo dirVi una cosa, delle nostre

In ogni caso mettiamo questa immagine qui, ad inizio anno, che riassume un po’ delle situazioni paradigmatiche genovesi (abbiamo detto “paradigmatico” di nuovo, scusateci, ma anche noi siam, talvolta, preda, delle mode idiomatiche superficiali)

A sx la Commenda, non più evocatrice di medioevo, per vie della “bella idea” di metterci dei vetri, neanche fosse la casa di campagna della zietta Teresa “che così recupera un po’ di spazio al caldo”.

A dx il furore rinnovativo lanciato, supponiamo, al 110%, ma va bene così.

In mezzo i tesori genovesi, del nostro lungo, lunghissimo, medioevo, e anche prima (come la Commenda che, però, per ora, è stata messa in panchina).
Con quei muri di pietra che basta accendere una candela e fa dei giochi di luce che tricapodanno levati.

E, in mezzo, “lui”, il cubetto (che appare di cemento) che non c’entra un … niente.
Bollino blu dell’incapacità dei discendenti dei Genuati di rispettare la bellezza, perchè non la vedono, e vedono solo la funzione materica delle cose, che spesso è la cosa ultima, prima delle funzioni della bellezza e dell’anima della città.

Ma nel complesso è il solito “sogno di un architetto che ha mangiato troppo, ma benissimo”. E son immagini ipnotiche, struggenti, rammaricanti e meravigliose

Continuiamo a ragionar sulla bellezze, e la bruttezza, e chissà che non ci escano, nel tempo, più cose buone che cattive.
E la città ridiventi una città