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La, dionisiaca, risistemazione portuale

Discorso sul Porto italiano (e mondiale), e della città che ci sta attaccata (Genova), e di orizzonti rubati, e del levante e del ponente, e dei lavoratori diretti e da subappalto, e della danza intorno alla crescita e risistemazione del Porto

E ci risiamo
Ma come potremmo non riesserci?
Il Porto, fino a un secolo fa, bene o mal voluto, era fuso con la città. Oggi è un progetto sovracittadino che impatta con la città.
In maniere e con circonvoluzioni che la comunità cittadina non vede, e non può vedere
E di armonia famigliare, pur se in un matrimonio combinato, tra porto e città, non se ne vedono ancora orizzonti

E arriva la Diga
La Diga “alla genovese”
Che come alcune cose “alla genovese”, come la cima, la buridda o zuppa di pesce, son cose buone, alla fine, ma frutto di scontri e impastamenti tali che non se ne trova ragione. Se non per cuochi fini, consumati ed esperti e solo apparentemente superficiali e dediti allo Street Food improvvisato

La Diga “alla genovese”, cioè un progetto avversato da colui che era stato chiamato a sovrintenderlo, con costi che oscillano più di un’onda anomala di mareggiata, con impatti sulla città non prevedibili e, sicuramente, non previsti
Per gli esegeti https://www.youtube.com/watch?v=NCl-MNyu9-w 
Cioè un progetto che si innesta su, e crea, rimescolamenti portuali, cittadini, economici, funzionali, culturali, sociali, politici

La Nuova Diga segna un ulteriore potenziamento del Porto. Il Porto italiano principale
E, a nostra sensibilità, se non si accompagna ben bene questa crescita, intanto fisica, segnerà un arretramento della città. Di Genova.

E si ridisegna il Porto. In una danza, solo parzialmente comprensibile alla città, che vede volare, che neanche in Sim City, Depositi Chimici, Nuove Tombature, Porti Petroli, Attracchi, Riparazioni Navali, Quartieri di Lusso, Boschi, Tunnel e tanto altro.

La paura, la nostra, che siam casi limite, è che una crescita, economica, del Porto porti un arretramento, di vivibilità, della città.
Ma come, direbbero quelli (che non sappiamo chi siano ma vien bene dire così), “ma si parla di lavoro!”.
Si, ma in città, come in tante parti del mondo, il lavoro si vede, ancora in parte, inestricabilmente connesso al rischio, all’insalubrità, alla inutile sacrificio. Ma può anche non essere così.

E poi, lo abbiamo imparato, soprattutto dalla nascita del Porto Antico (che in realtà è stato il Porto Nuovo) , che il Porto non è solo industria (perché a Genova il Porto è anche zona industriale e aeroportuale), ma anche sport, turismo, zone di passeggio, addirittura residenza. Che per noi è una novità recente. Che fino a 30 anni fa se correvi da Caricamento verso il mare prendevi una facciata in un muro grigio tirato su alla bell’è meglio e lasciato lì. Oggi puoi finire la tua corsa in un bar sul mare, ansimando con l’acqua intorno e circondato da turisti bambini che vanno all’Acquario.
Sia come sia, un cambione.

E ci risiamo
A parlare di Porto
E come tutte le volte è un’occasione.
Perché la più grande opera urbanistica genovese è la risistemazione del “fronte del Porto”.
Quella zona di città che va dalla Foce a Palmaro, con le pause di Pegli e Voltri, che ha visto arrivare, lento come un continente alla deriva e aggressivo come un’astronave di quelle enormi e cattive, il Porto del XX secolo e impattare sulla città.
E che non è facile, per nessuno, mettere a posto
E che adesso, lentamente, sta vedendo tentativi di risistemazione, di riappropriazione delle comunità locali, del litorale, o di quello che ne è rimasto.
E quindi la risistemazione del Porto ha a che fare, da una parte, con sopraelevate da buttare giù, tunnel da scavare, quartieri di lusso da sistemare, industrie da calibrare e sostenere, aree vuote da riempire, funzioni portuali da spostare, economie da promuovere
E dall’altra con orizzonti rubati, e perduti, o da tutelare, ultime spiagge da mantenere, salute da recuperare, quartieri da far rinascere, comunità locali da rendere protagoniste della riprogettazione del Porto. Anche se il Porto ha un altro sindaco, un’altra giunta e politiche che con Genova potrebbero avere poco da spartire. Ma che in realtà sono, più che connesse, fuse insieme.

E il Porto di Genova, ormai, è un’entità così gigante che suoi capricci, sviste, cambi di politica sono capaci di far attivare, riattivare, creare modi di città come se si giocasse con l’urbanistica e la storia in un Gioco da Tavolo gigante che ha a che fare con le identità e le culture.

Capace di far partire attività turistiche dove prima non esistevano come di fronte al Centro Storico, sostituendo, in pochi anni, l’idea che il Porto è un sottofondo di urli da lavoro e da camalli, o solo rumore di macchinari, con l’idea che il Porto è un luogo di Città dei Bambini, versi di delfini, vociare di bambini che giocano e si stupiscono di una gita a Genova.

Capace di far nascere comunità asiatiche a Sestri, improvvisamente, regalando al quartiere occhi e sorrisi di famiglie che, di botto, han trovato l’america nella città di Sestri Ponente, ma senza avvisare nessuno che stava per succedere.

Capace di decidere che il litorale praino non era più quello da cartoline di ragazze in bikini, degli anni ’60, e di ristoranti di riferimento per una comunità, ma un litorale con l’orizzonte di container e di millemila e più posti di lavoro promessi, che poi furono centoecento. E poi ridecidere che l’orizzonte non era più solo quello dei container ma anche quello di un’area parco, a ridosso dei container, dove fare scuola di vela, regate di canotti, con la piscina più vivibile della città, corse serali sotto le palme e affianco dei container.

Capace di decidere che non serve più un’area di Fiera con 80.000 e più mq di area espositiva coperta, ma un quartiere con una Fiera, forse tematica, con un 30.000, ma non si sa bene, mq espositivi coperti e un quartiere di lusso che si spera sia una declinazione del Water Front e non del Water Closet (inteso come anghezzo portuale con acqua chiuse e quindi inopportunamente puzzolenti)

Capace, insomma, di determinare, con le proprie scelte, l’identità, la vita, la cultura, la quotidianità, per non dire la salute e vivibilità, della città, e delle comunità, che gli stanno attaccate.

E ci risiamo
Con manifestazioni della città di Ponente (che di essere “la città di ponente”, intesa come quella di servitù, si è un po’ rotta “il”), con telefonate incrociate, e riunioni di operatori economici, politici, categorie di lavoratori, esponenti di funzioni portuali che si devono risistemare trovando la giusta posizione portuale.
Ci risiamo, con tutta quella danza, dicevamo dionisiaca, perché ha a che fare con cose solo parzialmente dicibili, con movimenti e sistemazioni urbanistiche che non son neanche nella testa e consapevolezza di chi li fa, perché son espressioni dell’inconscio del Porto di Genova che è sparso tra Genova, Roma, Singapore e chissà dove altro e che si manifesta, fisicamente, di fronte alla Superba. Che Superba è rimasta nel Porto e Avvilita nella città, almeno in quella di Ponente.

E un’altra cosa che sta determinando questa, ennesima, ed inevitabile, risistemazione del Porto è questa spaccatura tra città di Levante e città di Ponente. Quella che ha le servitù, produce la ricchezza, le tasse, o vede, di fronte a sé, produrre la ricchezza, le tasse, ma ne ha ben pochi benefici.
Che non è stata scelta da manezgi cattivi, ma dalla storia e dalla rivoluzione industriale che ha trovato, a Genova, all’epoca, nel Ponente un territorio più morbido, un reticolo di piccole aziende, che sembrava più adatto a cavalcare il Grande Cambiamento.

In questo riesserci pensiamo che, pensando alla Bruttezza e alla Bellezza, sarebbe opportuno che vicino ad ogni proposta portuale ci fosse una aggiunta, un “e”.

E quindi si spostano i Depositi Chimici “e” nei quartieri vicini si fa…
E quindi si toglie la Sopraelevata e si fa il tunnel “e” al suo posto si fa…
E quindi si realizza la Diga ampliando e ordinando queste funzioni portuali “e” soprattutto a Sampiedarena (che ha visto sparire, completamente, il mare, e le spiagge, e il percepirsi una città sul mare), Cornigliano (che ha visto una delle più grandi devastazioni urbanistiche cittadine dell’Europa Occidentale innestando una enorme fabbrica siderurgica, in un quartiere, sul mare), Sestri Ponente (una vera e propria città che vive con, al posto del mare, impianti industriali e marini con una fatica di convivenza alta), Multedo/Pegli (ridotto da “bel quartiere” a agglomerato residenziale/industriale), Pra’ (destinata a trovare una vivibilità, per sempre, con il continente di container che ha al posto del mare), Pegli (che pur in buona parte risparmiata ha da una parte l’aeroporto e il quartiere/industria Multedo e dall’altra il Porto Container), a Voltri, che sta resistendo, con l’ultima, grande, spiaggia, popolare e aperta della città, con la sua vita da Riviera, con il suo persistere e mettere affianco la vita di una comunità sul mare, sulla spiaggia, con le piazzette sulla passeggiata di legno alla vita delle comunità che questa cosa la hanno persa. E non vorrebbero perderla di più.

E ci risiamo
Di fronte a uno stress da crescita del Porto
Ma anche di fronte a una possibile risistemazione. Che, se non altro, cerchi il modo migliore di trovare una vivibilità in questo pezzo di mondo, sul Mar Ligure. Che ancora tiene delle fortune, e delle potenzialità.
E delle soluzioni, dignitose, si possono trovare.
Ma tutti insieme
E non seguendo, come un incontro di tennis, proposte di progetti, e riprogetti, e cambi, e scansamenti, e rilanci, e affossamenti, il film del proprio futuro senza essere protagonisti

Che la Superbia ti faceva divertire ma era, anche, un difetto
L’Avvilimento non ha nessun pregio
Che, se non si è capito quello che volevamo dire, il Porto non è solo questione di Porto.
Ma orienta tutta la vivibilità, e la vita, in tutti gli aspetti, della città che gli sta attaccata e che sarebbe bello ne facesse parte
E il ripensamento del Porto è un’occasione di ri-unione con la città
La cura del fronte del Porto della città del Ponente potrebbe essere un buon viatico per far nascere, o almeno crescere e arrivare almeno all’adolescenza, una identità, unita della città
Da Levante a Ponente
Come se fossimo una unica città e ci interessassimo di tutti

(in foto Pegli)